Iran-USA: Khamenei chiude ai negoziati finché Washington sostiene Israele

Khamenei rifiuta colloqui con gli USA finché non verrà abbandonato il sostegno a Israele. L’Iran respinge le condizioni Usa e punta sulla “resistenza”.

NORD AMERICAMEDIO ORIENTE E NORD AFRICA

Federico Massini

11/3/2025

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Iran rifiuta il dialogo con gli Stati Uniti finché Washington non abbandonerà il sostegno a Israele, dichiara Khamenei

L’Iran ha nuovamente chiuso la porta a un possibile riavvicinamento diplomatico con gli Stati Uniti.
Durante un incontro pubblico a Teheran con studenti universitari, in occasione dell’anniversario della presa dell’ambasciata americana del 1979, il leader supremo Ayatollah Ali Khamenei ha ribadito che la Repubblica islamica non negozierà con Washington finché gli Stati Uniti non ritireranno il loro sostegno a Israele e porranno fine alla loro presenza militare in Medio Oriente.

“Se abbandonano completamente il regime sionista, ritirano le loro basi militari da questa regione e smettono di interferire nei nostri affari, allora si potrà prendere in considerazione una cooperazione,” ha dichiarato Khamenei. “La natura arrogante degli Stati Uniti non accetta nulla se non la sottomissione.”

Il messaggio, diffuso anche sui media di Stato iraniani, è stato accolto come un segnale chiaro della linea di intransigenza di Teheran nei confronti di Washington, in un momento di forte tensione regionale alimentata dal conflitto israelo-palestinese e dal deterioramento dei rapporti tra Iran, Stati Uniti e Israele.

Un discorso che riafferma la dottrina Khamenei: “Forza e resistenza prima del dialogo”

Durante il suo intervento, Khamenei ha sottolineato che l’unica via per garantire la sicurezza dell’Iran passa attraverso il rafforzamento interno e la capacità di deterrenza militare.

“Se il Paese diventa forte e il nemico capisce che affrontare questa nazione non porta vantaggi ma perdite, allora l’Iran sarà davvero immune da minacce,” ha affermato.

Secondo gli analisti di Reuters e Al Jazeera, le parole di Khamenei si inseriscono nella tradizionale narrativa della Repubblica islamica: quella di una “resistenza attiva” contro le potenze occidentali.
Dal punto di vista strategico, il leader supremo continua a considerare la forza militare, la coesione ideologica e l’indipendenza economica come i tre pilastri fondamentali per la sopravvivenza del regime, più importanti di qualsiasi apertura diplomatica.

Sanzioni, isolamento e “strategia della pazienza”

Negli ultimi anni l’Iran ha subito una crescente pressione economica internazionale, soprattutto dopo che nel 2018 gli Stati Uniti, sotto l’amministrazione Trump, si sono ritirati unilateralmente dall’accordo sul nucleare (JCPOA), reintroducendo sanzioni economiche devastanti.
Le misure punitive hanno colpito duramente i settori energetico e finanziario iraniani, tagliando Teheran dai mercati internazionali.

Nel settembre 2025, Regno Unito, Francia e Germania hanno invocato il meccanismo di “snapback” presso le Nazioni Unite, ripristinando parte delle sanzioni sospese nel 2015.
L’obiettivo dichiarato era forzare Teheran a tornare al tavolo dei negoziati. Tuttavia, Khamenei e il nuovo ministro degli Esteri Abbas Araghchi hanno ribadito che nessuna trattativa sarà possibile sotto minaccia o ricatto.

“Abbiamo resistito a decenni di embargo,” ha affermato Araghchi in un’intervista ad Al Jazeera Arabic. “La nostra economia è in difficoltà, ma la nostra dignità non è in vendita.”

L’Iran non ha fretta di tornare ai colloqui sul nucleare

Il ministro Araghchi ha spiegato che Teheran non è “in fretta” di riprendere i negoziati con Washington, anche se resta formalmente disposta a un dialogo “indiretto e basato sul reciproco rispetto”.

“Siamo pronti a negoziare, ma solo da una posizione di parità e sugli interessi comuni. Non accetteremo condizioni unilaterali imposte da chi ci ha traditi in passato.”

Secondo il ministro, l’Iran considera “illogiche e ingiuste” le condizioni poste dagli Stati Uniti, che comprendono:

  • la totale cessazione dell’arricchimento dell’uranio,

  • limiti alle scorte missilistiche,

  • e la rinuncia al sostegno per i propri alleati regionali (come Hezbollah, gli Houthi e le milizie sciite in Iraq).

Araghchi ha definito tali richieste “inaccettabili” e ha suggerito che Teheran non intende cedere sulla propria sovranità militare.

Israele e la “guerra delle ombre”: un contesto sempre più teso

L’inasprimento della posizione iraniana arriva dopo i recenti attacchi israeliani ai siti nucleari iraniani del giugno 2025, che hanno distrutto parte delle strutture di arricchimento dell’uranio e causato più di 1.000 vittime in dodici giorni di bombardamenti.

Secondo fonti interne citate da Iran International, circa 400 kg di uranio arricchito al 60% sono “ancora sepolti sotto le macerie” degli impianti colpiti.

“Non abbiamo intenzione di recuperarli finché le condizioni non saranno favorevoli,” ha dichiarato Araghchi.

L’attacco, condotto in coordinamento tra Israele e Stati Uniti, ha rappresentato un punto di non ritorno nelle relazioni tra Teheran e Washington, rendendo sempre più difficile ogni tentativo di ripresa dei negoziati sul JCPOA.

Un Medio Oriente in transizione: solidarietà contro Israele e nuova diplomazia iraniana

Secondo il ministro Araghchi, la guerra in Palestina e le politiche aggressive del governo israeliano di Benjamin Netanyahu stanno trasformando gli equilibri diplomatici del Medio Oriente.

“Netanyahu è un criminale di guerra che ha commesso atrocità, ma ha avuto un effetto involontario: ha mostrato a tutto il mondo arabo che il vero nemico non è l’Iran, ma Israele stesso,” ha affermato il ministro.

Anche il sultano dell’Oman e il suo ministro degli Esteri, Badr bin Hamad al-Busaidi, hanno espresso pubblicamente il proprio dissenso nei confronti di Israele al forum regionale Manama Dialogue 2025, sostenendo che “la fonte primaria dell’instabilità nella regione non è Teheran, ma Tel Aviv”.
Questa presa di posizione segna un potenziale riavvicinamento diplomatico tra Iran e Paesi del Golfo, dopo anni di sospetto e isolamento.

Il ruolo dell’Oman e i tentativi di mediazione

Da anni l’Oman agisce come mediatore tra Teheran e Washington, favorendo scambi di prigionieri e canali di comunicazione segreti.
Recentemente, secondo Reuters, Mascate avrebbe recapitato a Teheran un nuovo messaggio della Casa Bianca, ma il contenuto non è stato reso noto.
La portavoce del governo iraniano, Fatemeh Mohajerani, ha confermato di aver ricevuto “comunicazioni riservate”, senza però specificarne il contenuto.

Gli osservatori ritengono che l’Oman continuerà a svolgere un ruolo chiave nel mantenere una finestra diplomatica minima, evitando che la crisi iraniano-americana degeneri in uno scontro diretto.

Prospettive: un equilibrio fragile tra resistenza e isolamento

L’Iran si trova oggi in un delicato equilibrio tra resistenza ideologica e isolamento economico.
Da un lato, la leadership di Khamenei promuove una narrativa di autosufficienza e orgoglio nazionale; dall’altro, la popolazione soffre per la disoccupazione, l’inflazione e la svalutazione del rial.

Secondo il Financial Times, l’intransigenza di Khamenei potrebbe rafforzare la coesione interna del regime nel breve termine, ma rischia di compromettere la ripresa economica e spingere Teheran verso un’alleanza sempre più stretta con Mosca e Pechino, i due principali rivali strategici degli Stati Uniti.

Conclusione: l’Iran tra sfida e opportunità

Il messaggio di Khamenei non lascia spazio a equivoci: finché Washington sosterrà Israele e manterrà basi militari nel Golfo, Teheran non accetterà alcun negoziato diretto.
La “strategia della resistenza” iraniana mira a ottenere vantaggi politici e militari attraverso la pressione indiretta, evitando di mostrare debolezza sul piano internazionale.

Tuttavia, con l’economia al collasso e la crescente instabilità in Medio Oriente, la linea dura di Khamenei e Araghchi potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, rischiando di isolare ulteriormente l’Iran proprio nel momento in cui avrebbe bisogno di aprirsi al mondo.

Federico Massini - Analista Geodiplomazia.it