UE e migrazione: Rimpatri, “Return Hubs” e Solidarietà. La stretta che divide l’Europa
L’Unione Europea accelera sui rimpatri. Ma la nuova politica migratoria mette alla prova solidarietà, diritti e coesione politica europea.
EUROPA
Federico Massini
12/14/2025


Solidarietà e rimpatri: l’Unione Europea stringe sulla migrazione mentre cresce la pressione politica
L’Unione Europea sta entrando in una nuova fase della sua politica migratoria. Una fase segnata da maggiore controllo, accelerazione dei rimpatri e da un tentativo esplicito di dimostrare all’opinione pubblica di avere nuovamente “il controllo” dei flussi migratori.
La decisione assunta questa settimana dai ministri dell’Interno dei Ventisette rappresenta uno dei passaggi più significativi degli ultimi anni: un rafforzamento sostanziale delle misure contro l’immigrazione irregolare e una ridefinizione del principio di solidarietà interna, in un contesto politico sempre più condizionato dall’ascesa delle destre radicali e dalla crescente polarizzazione dell’elettorato europeo.
Un giro di vite politico più che numerico
Il dato paradossale è che la stretta arriva mentre gli arrivi irregolari sono in calo. Secondo Frontex, nel primo semestre del 2025 le entrate irregolari nell’Unione sono diminuite di circa il 20%. Eppure, questo calo non ha ridotto la pressione politica sui governi nazionali.
Il motivo è chiaro: la migrazione resta una questione simbolica, più che statistica. Come ha ammesso apertamente il Commissario europeo alla Migrazione, Magnus Brunner, la priorità non è solo gestire i flussi, ma trasmettere ai cittadini la percezione di controllo. In un’Europa attraversata da elezioni difficili e da una fiducia sempre più fragile nelle istituzioni, la gestione della migrazione è diventata un banco di prova della credibilità politica dell’UE.
Il nodo centrale: i rimpatri che non funzionano
Alla base della nuova strategia c’è un problema strutturale: tre migranti su quattro, a cui viene notificata una decisione di rimpatrio, restano comunque sul territorio europeo. Un dato che mina la legittimità dell’intero sistema di asilo.
Per questo Bruxelles ha deciso di agire sul punto più sensibile: l’esecuzione dei rimpatri. Il nuovo pacchetto approvato dai ministri punta a velocizzare le procedure, irrigidire le sanzioni per chi rifiuta di lasciare l’UE e ampliare drasticamente il perimetro dei Paesi considerati “sicuri”.
Return hubs: l’esternalizzazione diventa sistema
La misura più controversa è l’approvazione del principio dei “return hubs”, centri di rimpatrio situati fuori dai confini dell’Unione Europea. Qui verrebbero trasferiti i migranti la cui domanda di asilo è stata respinta, in attesa del rimpatrio o di una nuova richiesta di protezione.
Non si tratta più di un’idea marginale, ma di un cambio di paradigma: l’UE accetta formalmente il modello di esternalizzazione della gestione migratoria, spostando parte del processo fuori dal proprio spazio giuridico.
Per i sostenitori, questa scelta alleggerisce la pressione sui sistemi nazionali di accoglienza. Per i critici, invece, rischia di creare zone grigie legali, dove i diritti fondamentali diventano più difficili da garantire.
Paesi sicuri e Paesi terzi: la soglia si abbassa
Parallelamente, l’Unione ha ampliato l’elenco dei Paesi di origine considerati sicuri, includendo Stati come Bangladesh, Egitto, India, Marocco, Tunisia e Colombia, oltre al Kosovo. Questo significa che le domande di asilo provenienti da questi Paesi potranno essere respinte più rapidamente.
Ancora più significativa è la revisione del concetto di Paese terzo sicuro. Non sarà più necessario dimostrare un legame diretto tra il richiedente asilo e il Paese in cui viene trasferito. Basterà che l’UE abbia stipulato un accordo con uno Stato che, sulla carta, rispetti gli standard internazionali sui diritti umani.
È una scelta che mira a ridurre drasticamente il numero di domande esaminate in Europa, ma che solleva interrogativi profondi sulla reale capacità di controllo e monitoraggio di questi accordi nel lungo periodo.
La solidarietà obbligatoria divide l’Europa
Sul fronte interno, l’UE ha definito i numeri del meccanismo di solidarietà per il 2026: 21.000 ricollocamenti oppure 420 milioni di euro di contributi finanziari complessivi. Gli Stati membri potranno scegliere se accogliere migranti, versare fondi o fornire supporto operativo.
Italia, Grecia, Spagna e Cipro sono stati riconosciuti come Paesi sotto forte pressione migratoria e potranno beneficiare del meccanismo senza contribuire. Altri Stati dell’Est e del Nord Europa, come Polonia e Repubblica Ceca, hanno già ottenuto esenzioni parziali o totali, spesso citando l’accoglienza dei rifugiati ucraini.
Questa flessibilità, tuttavia, evidenzia una solidarietà asimmetrica, che rischia di trasformarsi in un compromesso politico permanente più che in una soluzione strutturale.
Le critiche: diritti umani e legittimità morale
Organizzazioni umanitarie e ONG hanno reagito duramente. Secondo Amnesty International e PICUM, il nuovo impianto normativo rischia di disumanizzare il sistema di asilo, spingendo persone vulnerabili in una condizione di limbo legale e aumentando l’esposizione a violenze e abusi.
Ma queste critiche si scontrano con una realtà politica sempre più stringente: molti governi europei considerano la tenuta del consenso elettorale una priorità non negoziabile.
Un’Europa più dura per restare unita?
Il rafforzamento della politica migratoria europea non nasce solo da esigenze operative, ma da una trasformazione più profonda: l’UE sta cercando di riconciliare integrazione e sicurezza, in un contesto in cui la paura dell’instabilità pesa quanto – se non più – i numeri reali.
La domanda di fondo resta aperta: questa strategia renderà l’Europa più efficace o semplicemente più rigida?
E soprattutto, fino a che punto l’Unione sarà disposta a sacrificare la propria identità normativa pur di mantenere la coesione politica interna?
Nei prossimi anni, la risposta non arriverà dai testi legislativi, ma dalla capacità – o incapacità – dell’UE di dimostrare che controllo e diritti non sono necessariamente in contraddizione.
Federico Massini - Analista Geodiplomazia.it - 13/12/2025
