Elezioni in Uganda: Museveni verso la riconferma, ma il Paese teme per il suo futuro
Museveni sarà rieletto a gennaio, ma l’Uganda è sempre più instabile. Analisi della successione, dei rischi politici e del ruolo dei militari.
AFRICA SUB SAHARIANA
Giuseppe Palestra
12/1/2025
Uganda verso elezioni “fisse”: Museveni si prepara alla riconferma, ma il futuro del Paese è sempre più incerto
A Kampala nessuno si illude: le elezioni di gennaio in Uganda non saranno una competizione. Saranno un rituale politico.
Il presidente Yoweri Museveni, al potere dal 1986, è destinato a vincere. Di nuovo. Per la settima volta consecutiva.
Ma mentre la vittoria sembra certa, tutto ciò che verrà dopo è avvolto nell’incertezza.
L’Uganda è un Paese in equilibrio instabile:
un leader anziano e dominante,
un sistema politico sempre più chiuso,
una società giovane, impaziente e stanca dell’autoritarismo,
una regione — l’Africa dei Grandi Laghi — estremamente volatile.
Ecco perché, paradossalmente, un’elezione già decisa sta aprendo la fase più imprevedibile degli ultimi decenni.
Museveni: un presidente eterno alla guida di un Paese che non è più lo stesso
Museveni è entrato al potere nel 1986 dopo una lunga guerra civile. Per anni è stato considerato un alleato dell’Occidente, un riformatore, un leader capace di stabilizzare un Paese devastato dai conflitti.
Ma questa narrazione è ormai storia.
Negli ultimi 15 anni, Museveni ha progressivamente trasformato il sistema politico ugandese in un regime elettorale autoritario, caratterizzato da:
repressione sistematica dell’opposizione,
modifiche costituzionali ad personam (due volte hanno eliminato i limiti di mandato e di età),
un apparato di sicurezza sempre più potente,
nepotismo e crescente influenza familiare.
Secondo molte analisi di think tank africani e internazionali (Crisis Group, ISS Africa, Chatham House), il vero nodo della politica ugandese oggi è proprio questo:
➡️ il sistema è ormai identico al suo leader. Tocca a Museveni mantenere insieme tutte le parti. Ma Museveni ha 80 anni.
Il nodo irrisolto: la successione
La domanda che circola sottovoce nelle cancellerie africane e nei centri di ricerca è semplice:
cosa accadrà quando Museveni non ci sarà più?
Negli ultimi anni sono emersi tre scenari principali:
1. La successione familiare (scenario probabile)
Molti osservatori ritengono che Museveni stia preparando il terreno per il figlio, Muhoozi Kainerugaba, generale e figura sempre più influente.
Muhoozi guida un suo movimento politico informale (MK Movement) e si presenta come modernizzatore, filo-militare e più vicino alle potenze emergenti (Emirati, Turchia).
2. La successione interna al NRM (scenario instabile)
Il partito al potere, l’NRM, è attraversato da rivalità tra vecchi baroni, tecnocrati, militari e oligarchi economici.
Una lotta interna senza Museveni rischierebbe di sfociare in frammentazione politica.
3. Una transizione “gestita” dai militari (scenario ad alto rischio)
L’esercito ugandese (UPDF) è una delle istituzioni più forti del Paese. Alcuni analisti ipotizzano che potrebbe assumere un ruolo centrale in caso di vacanza di potere.
Il rischio?
➡️ una “egittizzazione” dell’Uganda: stabilità apparente, democrazia sospesa.
Il Paese resta giovane, urbanizzato e sempre più difficile da controllare
Il 75% degli ugandesi ha meno di 30 anni.
È una delle popolazioni più giovani del mondo.
Questo significa tre cose:
altissima disoccupazione giovanile,
aumento della pressione sociale e politica,
crescente distanza tra governo e generazioni urbane digitalizzate.
La contestazione del 2021, guidata dal cantante-politico Bobi Wine, è stata repressa duramente, ma ha mostrato un punto che il regime non può ignorare:
➡️ la spinta al cambiamento esiste, è forte e non verrà meno.
Nonostante la repressione, Wine resta popolare nelle città, soprattutto tra i giovani che percepiscono Museveni come un leader lontano dalla loro realtà.
Un contesto regionale esplosivo
L’Uganda non è un’isola.
È circondata da Paesi attraversati da guerre, colpi di Stato e tensioni etniche:
Congo orientale: conflitto cronico, presenza di gruppi armati e rivalità con Kigali.
Sud Sudan: instabilità endemica.
Rwanda: tensioni personali tra Museveni e Kagame.
Repubblica Centrafricana: fragilità istituzionale.
Kenya: crisi economica e proteste cicliche.
L’Uganda è inoltre uno dei principali attori militari della regione, impegnato da anni in missioni esterne e operazioni antiterrorismo.
Per questo molti analisti considerano l’eventuale crisi di successione ugandese una minaccia regionale, non solo nazionale.
Economia e geopolitica: l’Uganda punta a nuovi partner (Cina, Turchia, Emirati)
Sul piano internazionale, Museveni ha progressivamente ridotto la sua dipendenza dall’Occidente.
L’Uganda oggi riceve:
investimenti infrastrutturali dalla Cina,
supporto militare e tecnologico dalla Turchia,
capitali energetici dagli Emirati Arabi Uniti,
accordi di sicurezza con il Ruanda (alternati da fasi di tensione).
Gli Stati Uniti mantengono un rapporto ambiguo con Kampala:
collaborano in campo militare (lotta al terrorismo, sicurezza regionale), ma criticano duramente la deriva autoritaria del governo.
Questo mosaico di alleanze rende l’Uganda un attore più autonomo, ma anche più esposto alle tensioni tra i grandi poteri.
Museveni vincerà ancora. Ma l’Uganda sta già pensando al “dopo”
Gennaio non porterà sorprese.
Museveni sarà rieletto.
La vera incognita non è il risultato del voto, ma il futuro del Paese.
Il sistema museveniano è arrivato al suo limite naturale:
troppo personalistico, troppo dipendente dall’esercito, troppo distante dalla società giovane e urbana che cresce ogni anno.
L’Uganda non teme le elezioni.
Teme ciò che accadrà quando, per la prima volta in quarant’anni, dovrà immaginare un leader diverso da Museveni.
Ed è qui che si aprirà la vera battaglia politica del prossimo decennio.
Giuseppe Palestra - Analista Geodiplomazia.it - 01/12/2025
