Giappone–Cina, crisi diplomatica: le parole di Sanae Takaichi su Taiwan scatenano la reazione di Pechino
La premier Sanae Takaichi apre alla possibilità di intervento in caso di attacco cinese a Taiwan. Pechino reagisce duramente: crisi diplomatica e tensioni regionali.
ASIA
Fabiola Manni
11/26/2025
Sanae Takaichi e la nuova crisi Giappone–Cina: Taiwan al centro dello scontro diplomatico
L’insediamento di Sanae Takaichi come prima premier donna del Giappone non ha lasciato il tempo al governo di ambientarsi. Nel giro di pochi giorni, Tokyo si è ritrovata coinvolta in una crisi diplomatica grave e inaspettata, scatenata dalle dichiarazioni della nuova leader sull’eventualità di un attacco cinese contro Taiwan.
Le sue parole, pronunciate il 7 novembre in una sessione formale della Dieta, hanno risvegliato nel rapporto sino-giapponese vecchie tensioni irrisolte, amplificate dalla crescente rivalità militare nell’Indo-Pacifico.
Il nodo Taiwan e la linea dura di Takaichi
Takaichi, storica esponente dell’ala più nazionalista del Partito Liberal Democratico, ha delineato una serie di scenari in caso di aggressione cinese contro Taiwan. In uno di questi, ha sottolineato che un conflitto nello Stretto potrebbe costituire per il Giappone una “situazione che minaccia la sopravvivenza” del Paese.
Questa definizione non è linguaggio simbolico: è l’espressione chiave prevista dalla legislazione giapponese per autorizzare l’impiego delle Self Defense Forces (SDF), un esercito formalmente difensivo, ma potenziato da anni di modernizzazione e oggi considerato tra i più avanzati dell’area Asia-Pacifico.
Le dichiarazioni di Takaichi riprendono posizioni già espresse in passato da figure centrali della politica giapponese, tra cui l’ex premier Shinzo Abe. Ma questa volta il contesto è radicalmente diverso: le parole arrivano da un capo di governo in carica, con tutto il peso istituzionale che ne deriva.
Pechino reagisce: convocazione dell’ambasciatore e retorica da “wolf warrior”
La risposta cinese è stata immediata e durissima.
Dopo la tradizionale formula del “ferire i sentimenti del popolo cinese”, Pechino ha convocato l’ambasciatore giapponese e accusato Tokyo di “minacciare la pace nello Stretto di Taiwan”.
Il caso ha fatto il giro dei social cinesi, soprattutto dopo che Xue Jian, console generale a Osaka, ha scritto che sarebbe “appropriato tagliare un collo sporco senza esitazione”. Una frase talmente estrema da essere rimossa poche ore dopo, su ordine delle autorità.
Per la Cina, la premier neoeletta rappresenta un banco di prova politico. Takaichi è salita al potere da meno di un mese, e la sua maggioranza è fragile: dipende dall’alleanza con il Japan Innovation Party, una composizione instabile che Pechino potrebbe tentare di sfruttare.
Tokyo cerca di raffreddare lo scontro ma appare impreparata
Il governo giapponese ha immediatamente tentato di minimizzare la portata delle dichiarazioni, sostenendo che non rappresentano un cambiamento ufficiale nella politica verso la Cina. Altri funzionari hanno avviato contatti diplomatici con Pechino per ridurre la tensione.
Ciò nonostante, la reazione giapponese sembra aver sofferto l’assenza di figure esperte nei rapporti con la Cina. Storicamente, il partito Komeito aveva agito come ponte politico tra Tokyo e Pechino, ma la sua uscita dalla coalizione di governo ha lasciato un vuoto di competenze in una fase estremamente delicata.
Pechino aumenta la pressione: ONU, embargo e turismo bloccato
La Cina ha portato la questione alle Nazioni Unite, definendo le parole di Takaichi un “atto di aggressione” e accusando Tokyo di voler interferire militarmente nella questione taiwanese — un tema che Pechino considera una “linea rossa non negoziabile”.
Nel frattempo, la Cina ha reintrodotto il divieto alle importazioni di prodotti ittici giapponesi, già in parte sospeso. Ha anche pubblicato un avviso ai turisti cinesi di evitare il Giappone, provocando la cancellazione di circa 500.000 viaggi.
Sul piano economico, l’impatto è significativo ma non devastante: il turismo cinese pesa molto, ma il Giappone soffre soprattutto di una carenza strutturale di lavoratori, non di una mancanza di domanda.
La pressione interna: Takaichi cresce nei sondaggi
Paradossalmente, la crisi ha rafforzato l’immagine della premier.
Secondo i sondaggi Kyodo, il suo consenso è salito fino al 70%.
La percezione pubblica è quella di una leader ferma, decisa, pronta a non farsi intimidire da Pechino.
Takaichi — che da tempo si ispira alla leadership di Margaret Thatcher — appare perfettamente a suo agio nel ruolo di premier dura, orientata alla sicurezza nazionale e molto vicina alla linea degli Stati Uniti.
Non a caso, le relazioni personali con Donald Trump, oggi nuovamente molto influente nella politica estera americana, sono eccellenti.
Un equilibrio fragile: cosa vuole davvero la Cina?
Secondo diversi analisti giapponesi, la crisi è destinata a durare.
In passato, come nella crisi delle Senkaku del 2012, Pechino ha imposto i ritmi dello scontro, lasciando a Tokyo pochissimi margini di manovra.
Oggi la dinamica sembra simile: la Cina vuole logorare politicamente Takaichi, ma senza spingere i rapporti bilaterali al punto di rottura. Finché l’impatto economico rimane contenuto, nessuna delle due parti vede un reale vantaggio nel fare un passo indietro.
Una crisi che ridisegna l’Indo-Pacifico
La crisi Takaichi–Cina mostra quanto sia cambiata l’architettura strategica dell’Indo-Pacifico.
Il Giappone non è più il gigante silenzioso della regione: ha una leadership assertiva, un esercito sempre più capace e un crescente allineamento agli USA.
La Cina, dal canto suo, non intende lasciare che Tokyo definisca nuovi limiti nella questione taiwanese.
Il risultato è un equilibrio pericoloso:
basta una scintilla nello Stretto di Taiwan per trasformare una crisi diplomatica in un confronto diretto tra due delle principali potenze dell’Asia.
Fabiola Manni - Analista Geodiplomazia.it - 26/11/2025
