La Russia che verrà: come Putin ridisegna Potere, Guerra e Geopolitica Mondiale verso il 2026
Un’analisi completa sulla trasformazione del potere in Russia dopo le elezioni 2024: strategia di Putin, guerra in Ucraina, rapporti con Cina e Occidente e prospettive geopolitiche per il 2026.
EUROPAASIA
Federico Massini
12/3/2025


Russia 2026: il futuro del potere putiniano dopo le elezioni del 2024 e la trasformazione dell’ordine globale
La Russia ha attraversato nel 2024 una delle elezioni presidenziali più simboliche della sua storia recente, non per l’incertezza dell’esito – scontato fin dall’inizio – ma per ciò che rappresentano per il sistema politico russo: la conferma definitiva che Vladimir Putin guiderà il Paese almeno fino al 2030.
Questa continuità al vertice, resa possibile dalla riforma costituzionale del 2020, sancisce l’ingresso in una fase nuova e più complessa, in cui la Russia affronta la sfida di ridefinire il proprio ruolo nel mondo in mezzo a guerra, isolamento e nuovi equilibri globali.
Il biennio 2024–2026 sarà così il vero momento di osservazione della tenuta del modello putiniano, poiché non ci saranno elezioni né shock istituzionali: solo la realtà concreta di un Paese chiamato a sostenere una guerra lunga, un’economia militarizzata e un’alleanza sempre più asimmetrica con la Cina.
Una Russia trasformata dalla guerra: il potere come gestione permanente del conflitto
La guerra in Ucraina, iniziata nel 2022, è diventata il motore invisibile della politica russa. Non è più un conflitto esterno, ma una condizione interna, una matrice che plasma la società, l’economia e l’ideologia del regime.
Nel discorso ufficiale, la Russia si considera impegnata in una “guerra esistenziale” contro l’Occidente, accusato di voler “smembrare” il Paese e imporre un modello politico estraneo alla tradizione russa.
Questa narrativa ha permesso al Cremlino di:
giustificare una crescente militarizzazione dell’economia,
accentrare ulteriormente il potere politico,
reprimere in modo capillare il dissenso,
consolidare il ruolo dei servizi di sicurezza come pilastro del sistema.
In questo contesto, il 2026 rappresenterà un test fondamentale: se la guerra continuerà, il Paese dovrà reggere un ritmo economico e demografico sempre più pesante; se si stabilizzerà, il Cremlino avrà l’onere di spiegare ai cittadini il costo sostenuto e i benefici ottenuti.
Ma ciò che è certo è che il potere putiniano si basa oggi su un consenso costruito attorno all’idea di resilienza nel lungo periodo, più che sulla promessa di prosperità.
La trasformazione economica: un modello di guerra che cerca di diventare sostenibile
Le sanzioni occidentali hanno spinto la Russia a riorganizzare radicalmente la propria economia.
Contrariamente alle aspettative di molti analisti occidentali, il sistema non è crollato, ma si è trasformato in una forma di capitalismo statale militarizzato che assomiglia sempre più ai modelli dell’Eurasia autoritaria, soprattutto cinese.
La crescita economica russa degli ultimi due anni è stata drogata dalla spesa militare, dalla delocalizzazione dell’industria verso regioni in espansione e dall’apertura di nuovi canali commerciali attraverso:
Cina,
Turchia,
Asia Centrale,
Emirati Arabi Uniti,
Caucaso meridionale.
Nel 2026 emergerà l’interrogativo cruciale: questo modello è sostenibile nel lungo periodo o è solo una risposta emergenziale?
La Russia ha aumentato il debito interno, ha consumato una parte significativa delle riserve di valuta, e soffre una perdita di capitale umano senza precedenti: centinaia di migliaia di giovani, tecnici e professionisti sono emigrati negli ultimi due anni.
La combinazione guerra–sanzioni ha imposto scelte dure: Mosca deve investire prioritariamente nell’apparato militare a scapito di settori civili che rischiano di indebolirsi.
La Cina come partner inevitabile, ma sempre più dominante
Pechino è diventata il cuore pulsante dell’economia russa. Fornisce tecnologie, componenti industriali, sbocchi commerciali, e soprattutto una legittimazione diplomatica indispensabile per un Paese isolato dall’Occidente.
Ma questa relazione nasconde una realtà ineludibile:
la Russia non è più una potenza bilanciata tra Occidente e Oriente, ma un attore sempre più dipendente da Pechino.
Nel 2026 questo squilibrio sarà ancora più evidente:
la Russia venderà energia alla Cina a prezzi inferiori rispetto ai mercati europei;
acquisterà componenti industriali e tecnologia quasi esclusivamente da aziende cinesi;
cercherà di inserirsi nella Belt and Road Initiative come partner strategico, ma con margini di autonomia ridotti.
La leadership russa è consapevole del rischio di diventare un “junior partner”, ma considera questa dipendenza un costo accettabile per mantenere una posizione globale e una continuità interna.
Il fronte interno: stabilità apparente, tensioni profonde
Dietro la compattezza del potere putiniano si muovono dinamiche molto più complesse di quanto appaia. La morte di figure come Prigozhin e la riorganizzazione del settore militare-industriale hanno modificato gli equilibri tra élite, creando nuove costellazioni di potere.
I siloviki – il blocco dei servizi e dell’apparato di sicurezza – sono oggi più influenti che mai. I tecnocrati economici, un tempo considerati il cuore moderato del sistema, hanno perso peso politico a favore di figure che garantiscono fedeltà al progetto della “Russia resistente”.
Il 2026 potrebbe vedere un ulteriore consolidamento di questa tendenza: più Stato, più controllo verticale, meno spazio per autonomie regionali e locali.
La domanda cruciale sarà se il sistema riuscirà a mantenere coesione senza ampliare la repressione o se emergeranno nuove crepe legate ai costi sociali della guerra.
La situazione con Europa e USA
Per l’Europa e gli Stati Uniti, la Russia che emergerà nel 2026 non sarà un attore disponibile a negoziati sostanziali.
Il Cremlino ritiene che l’Occidente abbia oltrepassato ogni linea rossa nel tentativo di sostenere l’Ucraina, e considera ormai irreversibile la frattura politica con Bruxelles e Washington.
L’Europa, dal canto suo, dovrà confrontarsi con:
un conflitto che rischia di diventare permanente,
la necessità di aumentare la produzione militare,
la trasformazione dell’Ucraina in uno Stato dipendente dal sostegno occidentale,
una Russia intenzionata a sfruttare ogni divisione interna dell’UE.
Gli Stati Uniti, impegnati nel contenimento della Cina, potrebbero ridurre l’attenzione strategica sull’Europa, costringendo i Paesi europei a ridefinire la propria dottrina di sicurezza.
Il 2026 come anno chiave della Russia post-elezioni
Le elezioni del 2024 non hanno cambiato il volto del potere russo; lo hanno semplicemente ufficializzato.
Il vero punto di osservazione sarà il 2026, quando gli effetti della guerra, delle sanzioni, della dipendenza dalla Cina e delle riorganizzazioni interne saranno pienamente visibili.
La Russia non è una potenza in declino, ma una potenza in trasformazione.
Ed è questa trasformazione, più che il nome del presidente, a definire il suo ruolo nel mondo dei prossimi anni.
Federico Massini - Analista Geodiplomazia.it - 03/12/2025
