Nuovi attacchi israeliani su Beirut: perché il Libano teme un’altra guerra con Israele
L’attacco israeliano a Beirut riaccende la paura di un nuovo conflitto. Analisi della crisi, del ruolo di Hezbollah e della situazione nel sud del Libano.
MEDIO ORIENTE E NORD AFRICA
Francesco Rodolfi
11/27/2025
Libano in attesa: gli attacchi israeliani su Beirut alimentano il timore di una nuova guerra
L’ultimo attacco israeliano su Beirut ha riaperto una ferita che in Libano non si è mai davvero rimarginata. A un anno dal cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah, il Paese vive sospeso tra paura, abitudine al rischio e consapevolezza che una nuova escalation potrebbe essere ben più devastante della precedente.
L’operazione israeliana di domenica, che ha colpito il quartiere di Haret Hreik uccidendo un alto comandante di Hezbollah, ha superato una delle “linee rosse” più delicate dal novembre scorso. E ha spinto molti libanesi, dal sud del Paese fino ai quartieri popolari di Beirut, a domandarsi se la tregua, già fragile, stia ormai cedendo del tutto.
Un Paese che vive tra la paura e l’abitudine alla guerra
A Burj al-Barajneh, quartiere densamente popolato e sede di uno dei più grandi campi profughi palestinesi, i residenti parlano dell’attacco con un misto di fatalismo e inquietudine. Qui, come in gran parte dei sobborghi sud di Beirut, i bombardamenti dello scorso anno hanno lasciato cicatrici profonde.
Molti ricordano ancora le scosse provocate dalle bombe bunker-buster sganciate nelle vicinanze. Le pareti tremavano, i vetri esplodevano, decine di famiglie fuggivano scalze di notte temendo il crollo dei palazzi.
La tregua del novembre 2024 aveva dato un minimo respiro. Ma non una vera pace:
gli attacchi israeliani non sono mai cessati nel sud del Libano e nella valle della Bekaa.
L’operazione di domenica ha cambiato la percezione: da “tensione costante” a “possibile preludio a una nuova guerra”.
Hezbollah è più debole, ma Israele non ha interesse a un conflitto totale. Il rischio è una guerra “a tentoni”
L’ultimo conflitto ha lasciato Hezbollah in difficoltà:
gravi perdite operative,
basi distrutte,
comando decapitato in più settori,
pressione interna dalla comunità sciita, che ha pagato il prezzo più alto.
Sul piano interno, Hezbollah ha anche dovuto affrontare una crescente irritazione della popolazione sciita del sud, stremata dalla distruzione e dai continui sfollamenti.
Per questo, molti analisti concordano: oggi Hezbollah non ha interesse a un nuovo conflitto aperto.
Michael Young, analista libanese di lungo corso, lo definisce chiaramente:
➡️ “Una rappresaglia di Hezbollah sarebbe suicida, senza alcun valore politico o militare.”
Israele lo sa. E potrebbe star sfruttando proprio questa debolezza.
Tel Aviv da settimane avverte — anche attraverso filtrazioni ai media — che Hezbollah “si sta riorganizzando”, una narrazione che permette all’esercito israeliano di colpire in anticipo, rafforzando la propria superiorità senza oltrepassare formalmente la soglia di una guerra totale.
È una strategia nota nel comportamento israeliano: escalation calibrata, colpi “mirati”, costruzione progressiva del vantaggio strategico.
Il sud del Libano è allo stremo: villaggi vuoti, cieli pieni di droni, paura costante
Se a Beirut l’atmosfera è di paura contenuta, nel sud del Libano la situazione è molto più drammatica.
Molti villaggi vicino alla Linea Blu sono quasi completamente deserti.
Le persone che tentano di rientrare nelle proprie case vengono spesso respinte da:
droni israeliani,
sparatorie dai cinque punti ancora occupati da Israele, in violazione del cessate il fuoco,
bombardamenti intermittenti.
Nel villaggio di al-Habbariyeh, per esempio, sette giovani soccorritori sono stati uccisi da un raid israeliano nel 2024. Da allora, la zona è diventata un rifugio forzato per centinaia di sfollati provenienti dai villaggi più vicini al confine.
Ali Noureddine, abitante locale, lo riassume così:
➡️ “Ci sono zone completamente vuote. Ogni notte ci sono droni e caccia nei cieli. Le persone hanno paura di dormire.”
Molti hanno investito tutto ciò che avevano nella ricostruzione delle loro case, e ora temono che un nuovo conflitto li costringa di nuovo a fuggire.
La stanchezza della popolazione è un elemento cruciale:
se una guerra dovesse tornare, il tessuto sociale del sud rischia di collassare.
Ein el-Hilweh e il precedente che fa tremare i campi profughi
L’attacco su Beirut ha riacceso anche il timore tra i palestinesi che vivono nei campi profughi.
L’operazione israeliana contro Ein el-Hilweh, che ha ucciso 13 persone tra cui 11 bambini, è stata interpretata come un segnale inquietante: Israele potrebbe colpire ancora i campi, considerati da tempo aree sensibili e difficili da controllare.
A Burj al-Barajneh molti temono che il loro campo possa essere il prossimo bersaglio.
La politica libanese apre ai negoziati, ma Israele risponde con le bombe
Il presidente libanese Joseph Aoun aveva dichiarato pochi giorni fa che il Libano era disposto a negoziare con Israele sotto egida internazionale.
Una mossa rara, significativa, apparentemente orientata alla distensione.
La risposta israeliana è stata l’attacco di domenica.
Questo ha trasmesso un messaggio chiaro al Libano:
➡️ i negoziati non rallenteranno l’attività militare israeliana.
È un messaggio altrettanto chiaro agli Stati Uniti e agli attori regionali:
Tel Aviv intende mantenere un margine di iniziativa militare anche durante eventuali colloqui.
Il Libano è troppo fragile per sostenere un’altra guerra
Il Paese è economicamente distrutto, politicamente paralizzato, socialmente esausto.
La guerra del 2023–2024 ha causato:
oltre 4.000 morti,
più di 1,2 milioni di sfollati,
11 miliardi di dollari di danni (stima World Bank),
villaggi rasi al suolo, infrastrutture vitali annientate.
Una nuova guerra, oggi, potrebbe spezzare ciò che resta dello Stato libanese.
Una stabilità apparente che può crollare da un momento all’altro
Il Libano vive sospeso in un equilibrio pericoloso.
Hezbollah è troppo debole per attaccare Israele.
Israele è troppo forte per fermarsi.
Il governo libanese è troppo fragile per imporre un quadro politico stabile.
La popolazione è troppo stanca per sopportare una nuova guerra.
Risultato:
➡️ una tregua di fatto, instabile, che può crollare con un singolo missile o un singolo calcolo sbagliato.
Oggi il Libano non è in guerra, ma non è nemmeno in pace.
È in attesa. E la storia libanese insegna che le attese spesso finiscono nel modo peggiore.
Francesco Rodolfi - Analista Geodiplomazia.it - 27/11/2025
