Come la Cina Riscrive la Seconda Guerra Mondiale per Ridefinire l’Ordine Globale (e Pressare gli USA su Taiwan)

La Cina usa la Seconda Guerra Mondiale per influenzare USA, Giappone e Taiwan e riscrivere l’ordine globale. Analisi geopolitica delle Relazioni USA-Cina

ASIANORD AMERICA

12/5/2025

Come la Cina usa la Seconda Guerra Mondiale per ridefinire l’ordine mondiale

Quando Xi Jinping ha telefonato a Donald Trump ricordando che Stati Uniti e Cina “combatterono insieme contro il fascismo”, non stava evocando nostalgicamente un capitolo condiviso della storia. Stava inviando un messaggio strategico: il passato è diventato uno dei principali strumenti del potere internazionale. In un momento in cui l’ordine mondiale nato nel secondo dopoguerra si sta sfaldando, Pechino vuole riscriverne le fondamenta. E per farlo sta usando proprio la memoria della Seconda Guerra Mondiale, intrecciandola con le tensioni contemporanee su Taiwan, con la rivalità con Giappone e Stati Uniti, e con la ridefinizione delle norme che regolano la geopolitica globale.

La telefonata Xi–Trump e il vero messaggio dietro le parole

Dietro il linguaggio formale della telefonata, Xi ha lasciato filtrare un sottotesto molto chiaro: se la Cina e gli Stati Uniti furono alleati contro il fascismo, allora dovrebbero esserlo anche oggi contro ciò che Pechino considera l’eredità di quell’aggressione: il Giappone e l’interferenza americana nello status di Taiwan.

Non è un caso che Xi abbia sottolineato la necessità di “salvaguardare i risultati della vittoria nella Seconda Guerra Mondiale”. È un invito implicito a Washington a riconoscere la narrativa cinese del conflitto: una narrativa che assegna a Pechino un ruolo centrale e che, soprattutto, interpreta la questione di Taiwan come un residuo irrisolto della guerra.

Questa visione contrasta apertamente con quella occidentale, secondo cui la guerra portò alla nascita del sistema multilaterale e dell’ordine liberale guidato dagli Stati Uniti. La Cina, al contrario, la considera il punto di partenza di una lunga lotta contro l’imperialismo giapponese, destinata a completarsi con la “riunificazione nazionale”.

Perché la Cina sta riscrivendo la Seconda Guerra Mondiale

La commemorazione dell’80º anniversario della fine della guerra — celebrata a Pechino con parate imponenti, missili e una messa in scena di potenza militare — non era solo un rituale patriottico. Era un’operazione politica.
Pechino vuole correggere quella che percepisce come un’ingiustizia storica: nelle narrazioni occidentali, la Cina non appare come uno dei protagonisti della vittoria, nonostante i circa 20 milioni di morti e una resistenza prolungata contro il Giappone.

Ribaltare questa percezione è fondamentale per la strategia cinese. Una Cina “vincitrice” del secondo conflitto mondiale può legittimare con maggior forza il proprio diritto a ridefinire l’ordine regionale in Asia. E può rivendicare che, se la guerra liberò la Cina dall’aggressione giapponese, l’attuale assetto geopolitico — con un Giappone riarmato, una Taiwan autonoma, e una forte presenza militare americana nel Pacifico — rappresenta, agli occhi di Pechino, una distorsione di quell’esito storico.

Il ruolo centrale del Giappone in questa battaglia narrativa

All’interno della strategia cinese, il Giappone occupa un ruolo cruciale.
Ogni volta che Pechino richiama la Seconda Guerra Mondiale nei rapporti con gli Stati Uniti o con l’Europa, il messaggio implicito è sempre lo stesso: non bisogna dimenticare chi era l’aggressore e chi era la vittima.
Secondo Pechino, questa memoria dovrebbe far riflettere i governi occidentali sul sostegno a un Giappone che oggi si sta rapidamente riarmando e che ha dichiarato che interverrà militarmente per difendere Taiwan.

La Cina prova così a plasmare la percezione internazionale, spingendo gli Stati Uniti a riconsiderare la propria alleanza storica con Tokyo e a non accettare passivamente un Giappone più assertivo.
È una lotta per il consenso geopolitico che passa attraverso la storia, e che mira a indebolire il triangolo strategico USA–Giappone–Taiwan.

Perché la Seconda Guerra Mondiale continua a definire la geopolitica del XXI secolo

Secondo lo storico Antony Beevor, la Seconda Guerra Mondiale è diventata “la definizione stessa di guerra”. La straordinaria scala del conflitto, la sua dimensione morale e la sua eredità politica hanno trasformato la guerra in un mito fondativo della contemporaneità.
Ogni grande potenza, però, ne ha interiorizzato una versione differente.

Gli Stati Uniti continuano a vedere il conflitto come la battaglia della democrazia contro il totalitarismo; la Germania come una tragedia da espiare; il Giappone come un trauma che ha imposto il pacifismo come identità nazionale; la Russia come il momento eroico della “Grande Guerra Patriottica”; la Cina come l’inizio della rinascita nazionale.

Ora che i rapporti di forza globali stanno cambiando, queste narrazioni non rimangono confinati alla memoria: diventano strumenti di potere.
La competizione geopolitica passa anche attraverso la competizione sulle interpretazioni della storia.

La Cina lega il futuro di Taiwan alla memoria della guerra

Nella logica cinese, la Seconda Guerra Mondiale non è solo un evento storico, ma il punto di partenza di una missione incompiuta. Pechino considera l’isola di Taiwan non come una realtà autonoma, ma come una diretta conseguenza della guerra civile e della storia coloniale giapponese.
Il passato diventa così un’argomentazione politica:
se la Cina fu liberata dall’imperialismo giapponese, allora la separazione di Taiwan non può essere accettata come permanente.

È in questa cornice che vanno letti:

  • il riarmo giapponese

  • la diplomazia americana nel Pacifico

  • la narrativa cinese sulla “riunificazione”

  • la crescente pressione militare nello Stretto

La storia, qui, non serve a spiegare il presente: serve a giustificarne la trasformazione.

Il declino dell’ordine postbellico e la nascita della “post-postwar era”

L’ordine internazionale nato nel 1945 — costruito sul primato americano, sulle istituzioni multilaterali e su un consenso attorno ai principi liberali — sta attraversando una crisi profonda.
La Cina e la Russia stanno approfittando di questo vuoto per proporre alternative fondate sulle loro narrative storiche, più che su un vero progetto ideologico.

Per Washington, la Seconda Guerra Mondiale rappresentava il momento in cui gli Stati Uniti “salvarono il mondo” e ne assunsero la guida morale ed economica. Pechino, invece, la interpreta come il punto di partenza della sovranità cinese moderna, che oggi — secondo la sua visione — deve essere completata con l’integrazione di territori che considera parte della propria identità nazionale.

Il risultato è una competizione sempre più aperta su come interpretare il Novecento, e su quale racconto debba legittimare il prossimo ordine mondiale.

Siamo entrati nella post-postwar era:
il sistema nato dalla guerra si sta sgretolando, ma nessun nuovo ordine è ancora emerso. E nel vuoto che si crea, la storia diventa un’arma politica.

Federico Massini - Analista Geodiplomazia.it - 05/12/2025